Il Fuoco e i suoi Riti
Come continuazione logica delle mie ricerche qui riportate ho ritenuto interessante inserire due brevi ma esaurienti descrizioni riguardanti culti che pongono al loro centro l'elemento sacro del fuoco.
Ho avuto occasione di partecipare alla cerimonia induista del fuoco (yaghia). Come sperimentatore questo evento mi ha dato l'opportunità di conoscerne le modalità e attraverso il metodo radiestesico di approfondire, nel limite delle mie possibilità, una parte dell'aspetto energetico-vibrazionale.
Una cospicua parte del nostro bagaglio (occidentale) religioso- spirituale-esoterico ha una stretta relazione con culture a noi lontane come quella Indù e Zoroastriana. Per essere più precisi, questo retaggio non è altro che la nostra decodificazione dei meccanismi che regolano l'universo e quindi l'esistenza sul pianeta terra rapportata all'ambiente in cui viviamo e alle frequenze cosmo-telluriche con cui ci relazioniamo. Un filo d'oro di cui però non vogliamo stabilirne la successione temporale collega tutti gli uomini e il loro bisogno di spiritualità e di unione con la divinità.
Quando ci si confronta con culture millenarie a noi sconosciute sarebbe corretto avere sempre il massimo rispetto e la dovuta umiltà.
|
YAGHIA
La cerimonia del fuoco nella tradizione Induista.
Il fuoco in India viene considerato una sostanza sacra, un elemento di unione fra il mondo visibile e quello invisibile, una energia di trasformazione della materia ed un elemento purificatore.
Il culto del fuoco è uno dei motivi dominanti nelle scritture dei Veda. Il sacrificio ad esso viene visto come un rito magico, durante il quale vengono fatte delle offerte agli Dei, controllori celesti delle potenti forze della natura, per assicurare la continuità delle condizioni favorevoli al genere umano. Il messaggero fra cielo e terra è Aghni, il fuoco, le cui fiamme salgono, così come l'aroma delle offerte bruciate, nell'ascesi dell'oblazione.
Il fuoco è luce e quando la luce arriva durante la meditazione, scende dall'alto e accende dal di sotto il fuoco della Kundalini. La sostanza che si libera attraverso questo processo arriva al corpo e lo invade, avviene l'unione Dio-uomo, cielo-terra. È proprio qui che è possibile comprendere la relazione fra microcosmo e macrocosmo, in cui tutte le manifestazioni fisiche sono viste come parti di un continuo processo di mutamento dell'energia. Il fuoco diventa lo strumento di una trasmutazione alchemica.
Oltre a ciò, vengono attribuite ad Aghni importanti funzioni. Egli è insito in ogni essere, è il sacerdote degli Dei e il Dio dei sacerdoti. È l'ospite onorato in ogni casa, che, con la propria luce, allontana i demoni dell'oscurità. Nascendo di nuovo insieme a ogni fuscello di legna, è perennemente giovane e quindi immortale.
Il fuoco della pira funeraria è poi l'altare del morto, l'ultima offerta ad Aghni.
Garhpatya è il nome del fuoco domestico, il fuoco sacrificale della famiglia, che si trasmette di padre in figlio, costituendo così un profondo legame fra ciascuna generazione e stabilendo il rapporto con il Divino. Mantenere costantemente acceso il Garhpatya è il dovere religioso di ogni capofamiglia, poiché in mancanza di questo fuoco, è preclusa la celebrazione dei riti purificatori, in occasioni come la nascita, il matrimonio, la morte. Il fuoco conferisce sacralità agli avvenimenti principali della vita umana.
(tratto da www.csph.net)
|
|
IL DHUNI
Il Dhuni è la fossa dove viene acceso il fuoco sacro, alcuni Dhuni sono perenni, cioè una volta accesi, non vengono più spenti.
Lo Yaghya o Havan, è considerato un mezzo efficace per comunicare con l'energia divina ed è celebrato per mantenere l'equilibrio fra gli elementi della creazione e per armonizzare tutti i piani dell'esistenza.
Una antica preghiera sanscrita dice:
OM
Offro allo spirito del fuoco
meriti e colpe.
A questo fuoco offro
i miei sensi fisici
e uso le mie emozioni
come veicolo del sacrificio.
I mantra recitati durante una cerimonia del fuoco creano mutamenti nell'atmosfera, influenzando profondamente anche la psiche umana. I suoni dei mantra contengono l'essenza e il potere spirituale delle divinità, poiché secondo la scienza yogica, la vibrazione del suono delle varie lettere, ha una corrispondenza esatta con gli elementi del cosmo e del corpo umano.
(tratto da www.csph.net)
|
|
|
|
Esistono molteplici tipologie di dhuni, a cerchio, a quadrato, ottagonale, a triangolo equilatero, ecc..Ognuna di esse ha specifiche peculiarità energetiche e a seconda della pratica spirituale, o del rito, o del grado di iniziazione dell'officiante, veicolano proprie onde di forma che vanno ad interagire con le più alte sfere e con i diversi chakra o aspetti psicologici ed emozionali di chi assiste all'evento.
Lo schema sopra riportato si riferisce ad una tipologia di fuoco che utilizza la forma del quadrato. Questa forma in tutte le culture e legata all'elemento terra e conseguentemente al numero 4 (*).
Moltiplicandola se ne aumenta la sua capacità di dialogare con le forze sottili, e attraverso un fuoco la si può attivare in maniera tale che funzioni come un canale, se posta ulteriormente sopra lo scorrimento di una vena acquifera sotterranea od un incrocio di queste il suo ruolo catalizzatore e ricetrasmittente viene incrementato in maniera esponenziale.
Rudi Toffetti
|
(*) Il quadrato: è il simbolo della terra, in opposizione al cielo, ma è anche, ad un altro livello, il simbolo dell'universo creato, terra e cielo, in opposizione al non-creato e al creatore; è l'antitesi del trascendente. Il quadrato è una figura antidinamica, ancorata sui quattro lati, rappresenta l'arresto o l'istante isolato. Il quadrato implica un'idea di stagnazione e di solidificazione, oppure di stabilizzazione . Mentre il movimento scorrevole è circolare e rotondo, l'arresto e la stabilità sono associati a figure angolose, con linee dure e a sbalzi. La terra, misurata dai suoi quattro orizzonti è quadrata, è divisa nelle quattro regioni, occupate da quattro caste, dalle quattro braccia o dalle quattro facce della Divinità: le quattro braccia di Vishnu, e di Shiva o di Ganesha; ad Angkor, la divisione è operata dalle quattro facce del Tumburu, ma ancora più chiaramente dal Bayon (tempio khmer del XII secolo, al centro della cinta muraria di Angkor Thom). Il tempio è sempre costruito a immagine dell'uomo: come il tempio cristiano deriva dalla quadratura secondo le assi cardinali introdotte in un cerchio, la pianta del tempio indù presentata nel Vastu Purusha-mandala è anch'essa una figura quadrata che esprime la divisione per quattro di un grande cerchio che rappresenta il ciclo solare .Se il Cielo è generalmente rotondo e la Terra quadrata, il cambiamento di prospettiva permette a volte di invertire le corrispondenze simboliche. Se, ad esempio, nella costruzione del tempio indù, il quadrato è fissazione, cristallizzazione dei cicli celesti, può all'inverso significare l'immutabilità del principio in rapporto al movimento circolare della manifestazione; poi nella costruzione dell'altare vedico, che è un cubo cosmico, si ritorna al concetto primitivo. (tratto da fralenuvol.com)
Anche nella tradizione occidentale abbiamo svariate dimostrazioni ed esempi di come questa forma geometrica moltiplicata sia alla base dei principi filosofici, esoterici e costruttivi. Dall'età del bronzo in poi (3.550 a.C) la troviamo incisa sulle preti delle grotte come all'ingresso o all'interno di alcune chiese in special modo di matrice Templare. Nell'antica astrologia i 12 segni zodiacali venivano disposti su di un quadrato-filetto.
Ulteriore riprova di come i simboli archetipi facciano parte dell'umanità e da essa vengano utilizzati da sempre.
Concludo questa parentesi riferita al quadrato riportando due esempi di tripla cinta-filetto.
|
Vastu Purusha Mandala
Larchens (Francia): filetto-labirinto inciso sul soffitto di una grotta.
Foto di Francois Beaux (tratta da C. Gavazzi 'Lorso e i suoi fratelli...', DocBi, 2007)
….è evidente che essendo incisa su di una parete non ci si possa giocare....
|
Tripla cinta.
Incisione nella roccia all'ingresso della Rocca di San Silvestro a Livorno.
|
Cinte dei Templari: dopo la costruzione di un luogo di culto Templare sui portali o all'interno veniva inciso un glifo a tre quadrati concentrici tagliati da 4 segmenti.
Essi rappresenterebbero i 3 livelli di iniziazione e le 12 porte da attraversare, raggruppate 3x4 simboleggiano l'idea che l'uomo che si evolve assorbe tutti e dodici i segni zodiacali, quando compie e termina il giro e arrivato all'androgenia, cioè l'unione del maschile e femminile (integrazione-risveglio).
|
|
YONI-LIMGAM
Solitamente nel perimetro di un Dhuni è posto, in direzione est, un manufatto chiamato yoni-lingam di fronte ad esso staziona il sacerdote o un'immagine del guru, alcune sostanze liquide come latte o miele vengono versate su di esso per poi finire, tramite un'azione di scolo, nel fuoco come offerta.
Yoni: elemento femminile letteralmente "fonte o l'origine della vita", "utero". Simbolo della Shakti.
Lingam: elemento maschile, letteralmente "marchio" o "segno", simbolo fallico considerato una forma di Shiva.
Rappresentano un archetipo di unione cosmica che attraverso le offerte cerimoniali al fuoco viene fecondata.
|
Yoni-Lingam in dettaglio |
|
Yantra Nava-Yoni (nove uteri)
|
Yantra: è un termine sanscrito che indica vari tipi di rappresentazioni geometriche dalla forma semplice o più complessa e diagrammi simbolici, utilizzati come supporto nella concentrazione o per favorire l'assorbimento meditativo (samadhi).
Aspetto formale dell'essenza energetica divina.
Il termine infatti significa originariamente "veicolo", "mezzo" o meglio ancora "strumento/oggetto atto a favorire" un'esperienza o conseguimento mistico. Viene spesso utilizzato a supporto della meditazione. In generale, ogni figura divina ha il proprio yantra. In qualità di stigmi o segni geometrici vengono impiegati nella religiosità popolare anche come amuleti o talismani portafortuna e beneaguranti. Vengono anche tracciati sul terreno o sui muri delle case con colori naturali.
|
|
Al fuoco vengono offerti vari elementi, quelli che mantengono la vita, la quale viene simbolicamente offerta a Dio.
Vengono così posti nelle fiamme riso, orzo e semi di sesamo; questi ultimi costituiscono la preghiera di eliminare anche i più piccoli semi karmici dalla mente. Vengono poi offerti: acqua, latte, yoghurt, zucchero, burro fuso, miele, frutta, frutta secca, certe foglie, incenso, profumo e una noce di cocco che simboleggia l'abbandono dell' ego.
L'Havan, o Yaghya è un rituale collettivo, volto a purificare tutti gli ostacoli interni ed esterni, che velano la luce della conoscenza, rappresentata dal fuoco. Il calore delle fiamme simboleggia l'energia (la shakti). Il profumo che si sprigiona dalle offerte è l'aroma della presenza divina, il nettare degli Dei che ci deve impregnare per permetterci di raggiungere l'Altro Piano della Realtà. (tratto da www.csph.net)
|
|
ZOROASTRISMO
Faravahar, spirito guardiano, uno dei simboli principali dello Zoroastrismo |
Lo Zoroastrismo o Mazdeismo combina elementi di monoteismo e dualismo. Molti studiosi moderni ritengono che questa religione abbia avuto una larga influenza sulle religioni abramitiche e su Mitraismo, Manicheismo e Mandeismo.
Il libro sacro dello Zoroastrismo è l'Avesta. Di questo testo solamente i Gatha (gli inni) sono attribuiti a Zoroastro.
Nodo centrale della religione è la costante lotta tra Bene e male. Agli inizi della creazione, il Dio Supremo “Ahura Mazda” che significa dal sanscrito "Grande Divinità", è caratterizzato da luce infinita, onniscienza e bontà; è opposto ad Angra Mainyu (o Ahriman) uno spirito malvagio delle tenebre, violenza e morte. Vi sono anche sei divinità minori, chiamate Amesha Spenta (santi immortali).
Il conflitto cosmico risultante interessa l'intero universo, inclusa l'umanità, alla quale è richiesto di scegliere quali delle due vie seguire. La via del bene e della giustizia ("Asha") porterà alla felicità ("Ushta"), mentre la via del male apporterà infelicità, inimicizia e guerra.
Le radici dello zoroastrismo vanno ricercate nella Persia di oltre 3000 anni fa e nel profeta Zoroastro (o Zarathustra). Molti vivono nell'India occidentale e sono chiamati “parsi” . I loro antenati fuggirono dall'Iran (la Persia) quando questo divenne un Paese islamico.
|
Zoroastro
|
|
Moderno tempio Zoarastriano
|
Bracere del fuoco in un tempio zoroastriano
|
Consultando il dizionario etimologico di Manfred Mayrhofer (KEWA I, 21; EWA I, 49) si nota alla parola angirah – nome di una classe di sapienti indiani al cui vertice stava il dio del fuoco Agni – una comparazione con il greco anghelos ” “messaggero” e con l’iranico angaros.
Il motivo eschileo del “fuoco annunziatore” (angaron pyr) non ci riporta soltanto alla scienza tecnica della comunicazione mediante il fuoco (pyrsetica) in uso nell’impero persiano degli Achemenidi (Mazzarino, 1966, p. 79) ma, più profondamente e in senso traslato, alla tipologia di “annunziatore” e di “messaggero” che il fuoco rappresenta nella cultura iranica.
Si può inoltre affermare che il paragone con il sanscrito angirah e il legame di questo termine con il dio del fuoco Agni chiarisce meglio, grazie alla comparazione indo- iranica, la natura “angelica” del fuoco nella religione zoroastriana. Il fuoco ha quindi un ruolo di mediazione tra gli uomini e il mondo divino tale da renderlo di fatto un messaggero e quindi, si potrebbe dire, un “Angelo” sui generis: lo stesso vocabolo con cui viene designato nell’Avesta, ovvero duta, denota infatti il “messaggero”: è da notare inoltre che tale vocabolo designa nell’India vedica il dio del fuoco Agni, ambasciatore tra la terra e il cielo e responsabile della comunicazione tra il basso e l’alto che si genera nello scambio sacrificale delle offerte. Nel passo avestico in cui compare (Yasna 34.12) il “messaggero” (duta) viene identificato da alcuni commentatori (Kellens e Pirart, 1991, pp. 79-80) con il fuoco e con la sua funzione mediatrice; oppure, in una prospettiva di collettività religiosa, con la comunità che si riunisce intorno o di fronte al fuoco (Humbach, 1991, II, p. 87).
|
|
La preminenza del fuoco all’interno del pensiero religioso zoroastriano è del resto un fatto comprovato non soltanto da una ricca speculazione teologica ma anche dagli osservatori esterni che nelle loro testimonianze hanno lasciato fondamentali conferme di quanto si trova nella letteratura zoroastriana, sia in avestico sia nel pahlavi dei libri, lingua medio- iranica degli scritti più speculativi e dottrinali. Grazie quindi a etnografi ante litteram come Erodoto (I, 131) ci viene data notizia che i Persiani sacrificano sulle cime delle montagne per rendere il culto al fuoco, alla terra, all’acqua, al sole e al vento: un particolare che rivela la sacralità di ogni elemento e la cura devota che ognuno di essi riceve nelle prescrizioni religiose e nelle osservanze che fanno obbligo ai fedeli di non contaminarli. E sicuramente le fonti classiche sono preziose per constatare il rispetto tributato in primis al fuoco e all’acqua, due degli elementi centrali nella pratica rituale zoroastriana, e anche nelle moderne credenze degli zoroastriani dell’India e dell’Iran. Vista la riverenza concessa al fuoco, che è tale da costringere i Magi a indossare dei bavagli per non contaminarlo con il respiro, e la sua forte rilevanza simbolica anche all’interno dell’ideologia regale iranica – che prevedeva per l’intronizzazione di ogni sovrano l’accensione di un fuoco personale – non vi è da stupirsi se agli occhi di osservatori stranieri il fuoco potesse denotare gli stessi zoroastriani per antonomasia: tale è quanto appare dalle fonti cinesi che per designare la religione zoroastriana usavano appunto il termine “fuoco” (hsien). Questa breve disamina storica sulle fonti esterne ci permette di comprendere la centralità del fuoco e la sua vicinanza al dio supremo Ahura Mazda, al punto tale che è chiamato “simile a te” e anche “figlio”: i poteri elargiti da questa icona vivente e crepitante di Ahura Mazda riguardano molteplici benefici di energia vitale, di calore e di luce che ha il potere di istruire (Yasna 34.4) e che concede un potere di visione duplice, benefico per i giusti e malefico per gli empi, in una prospettiva dualistica che è una costante della cultura zoroastriana e che si riflette in una sorta di partita doppia di azioni che vengono giudicate buone o cattive secondo l’appartenenza del fedele ad Ahura Mazda o all’Avversario Ahriman.
Antico Tempio del Fuoco Zoroastriano – Khane Kabe |
Il fuoco concede quindi doni e ‘soddisfazioni’ al pari del pensiero (mainyu) di Ahura Mazda e anzi vi è un’identità tra il fuoco e il pensiero (Yasna 36.3) che lo avvicina a una dimensione noetica e meditativa e ne fa una sorta di frammento di energia celeste che può essere contemplata al pari di quel cielo luminoso di cui è detto “noi ti riconosciamo, o Ahura Mazda, per la forma più bella tra le forme: questo cielo luminoso” (Yasna 36.6).
Una tale dimensione mentale e meditativa del fuoco chiarisce anche il suo ruolo mediatore in alcune speculazioni teologiche e sacrificali su di esso e la sua importanza come supporto di particolari tecniche di concentrazione (Gnoli, 1980, p. 192) non dissimili, probabilmente, da alcune pratiche meditative indiane dello yoga che portavano l’asceta a concentrarsi sui carboni ardenti, per realizzare una serie di acquisizioni psico-animiche sull’essenza della combustione (M. Eliade, 1975, p. 84).
Si capisce bene come le qualità trasfiguranti, e di illuminazione intellettiva, potessero fare del fuoco un supporto meditativo in grado di generare particolari esperienze di allucinazione cosciente, motivata dall’esigenza di realizzare una visione fuori dall’ordinario, favorita dalla concretezza di un elemento partecipe della natura divina e in grado di essere messaggero di molteplici doni spirituali che potevano fluire nella comunicazione tra dei e uomini innescata dalla pratica rituale; e da determinate tecniche di estasi che, per usare una felice espressione di Kuiper, dovevano fare parte di un “Aryan mysticism” indo- iranico fondato su una simbolica della luce e su una dottrina della vista interiore (Piras, 1998).
(tratto da corsodireligione.it - fralenuvol.it)
|
|
|
|
|